Quel che si vede da qui
Mariana Leky. Selma, un’anziana che vive in un villaggio nel verde Westerwald, ha una dote: può prevedere la morte. Ogni volta che in sogno le appare un okapi, qualcuno in paese muore il giorno dopo. Tuttavia, i sogni non rivelano mai chi stia per morire. Come si può immaginare nel lasso di tempo tra il sogno e la morte tutti nel villaggio vivono in uno stato di agitazione... e Mariana Leky descrive la paura della gente del luogo, ciò che osano ciecamente, che confessano, distruggono o cercano di sistemare. Ma questo non è tutto, proprio per nulla. Questo libro è il ritratto di un paese e della sua comunità. Ma è soprattutto un romanzo sull’amore in circostanze difficili, poiché i vari “oggetti del desiderio” hanno una forte tendenza ad allontanarsi (o al limite a non rispondere come vorrebbero gli altri). Come fa il bel Frederik, il grande amore di Luise che è la nipote di Selma, l’eroina e la voce narrante della storia. Frederik decide di trasferirsi in Giappone e di vivere in un monastero buddista, tornando al villaggio e da Luise solo per alcune settimane d’inverno. Ogni volta - inverno dopo inverno - Luise spera che rimanga per sempre. Ma le parole “per sempre” non vengono pronunciate spesso in un luogo in cui la spada di Damocle assume la forma di un okapi che appare in sogno all’anziana Selma… Quando Selma disse che quella notte aveva sognato un okapi, sapevamo che uno di noi sarebbe morto, al massimo entro ventiquattro ore. Ci avevamo quasi azzeccato. Le ore furono ventinove. Anche se in leggero ritardo, la morte si presentò alla porta, nel vero senso della parola. Forse si attardò perché aveva esitato a lungo, ben oltre il fatidico ultimo minuto. In tutta la sua vita Selma aveva sognato l’okapi in tre occasioni e dopodiché era sempre morto qualcuno, perciò eravamo convinti che l’apparizione onirica dell’okapi e la morte fossero eventi indissolubilmente correlati. È così che funziona il nostro cervello. Nel giro di pochissimo tempo può indurci a credere che esista un forte nesso tra le cose più assurde. Caffettiere e stringhe, ad esempio, o vuoti a rendere e alberi di Natale. Il cervello dell’ottico era particolarmente abile in questo. Se gli venivano proposti due oggetti che non c’entravano niente l’uno con l’altro, lui ci trovava subito una stretta correlazione. E adesso era proprio l’ottico a sostenere che il ritorno dell’okapi non avrebbe provocato la morte di nessuno, che la morte e il sogno di Selma erano due cose del tutto sconnesse. Ma noi sapevamo che ci credeva pure lui. Soprattutto lui. Anche mio padre diceva che erano scemenze inaudite, a suo parere la nostra superstizione nasceva perlopiù dalla scarsa presenza del mondo nelle nostre vite. Diceva sempre: «Lasciate entrare un po’ di mondo!» Lo diceva in tono perentorio e in particolare a Selma, a priori. A posteriori lo disse solo di rado.