I fannulloni nella valle fertile - Albert Cossery
Una famiglia tutta maschile vive in una decadente casa alla periferia del Cairo. Un padre vedovo, tre figli, uno zio, più una cameriera che ha l’obbligo di restare in cucina per non disturbare il riposo degli uomini. Sono sette anni che Galal, il primogenito, non si è mosso dal suo letto e Rafik, il secondogenito, ha rinunciato a sposare la donna che amava per paura che potesse turbare il suo sonno. Ma un brutto giorno il figlio più piccolo annuncia la follia di voler andare a cercare lavoro in città. La famiglia si coalizzerà per stroncare le velleità lavorative del ragazzo… Pubblicato nel 1948, questo romanzo è un paradossale apologo sul «non fare nulla» come regola di vita, sul suo valore filosofico e politico. L’autore è stato un grande scrittore egiziano (ma parigino d’adozione) che solo da pochi anni è stato riscoperto ed è entrato a pieno merito, per il suo stile e la sua ironia, fra i classici del Novecento.
Il comico e il tragico sono raccontati con lo stesso tono: sobrio, serio, distaccato. Non conosco nessun romanzo che riesca a coinvolgere il lettore in una tale suspense fredda (…). Mentre a poco a poco, al di là della storia e delle sue circostanze grottesche, se non mostruose, mortifere, diveniamo partecipi di una contagiosa, salutare maniera di stare al mondo. È la forza dell’epica, già evocata, un’epica povera che trascende tutto il racconto e lo proietta in un tempo mitico, eterno – il suo Olimpo è la casa famigliare, il suo inizio, sempre rinnovato, è l’incipit del quarto capitolo, a cui si dovrebbe tornare a libro ultimato: Era l’ora sacra della siesta… Da lí si potranno ripercorrere gli incipit degli altri capitoli, per accorgersi che questi, a differenza di quello, muovono azioni che finiranno per rivelarsi vane. Il tutto, com’è proprio del mito, sprofondato in un indefinito, irraggiungibile passato: che concretamente, nelle sue diverse articolazioni grammaticali, è l’esclusivo tempo della narrazione.