Kully ha dieci anni ed è una giramondo. Scorrazza in esilio per la disastrata Europa degli anni Trenta appresso al padre, uno scrittore tedesco censurato dai nazisti, e alla madre, una donna stanca di fare e disfare valigie che rincorre un’impossibile quiete tra hall e camere d’albergo sempre nuove. Di treno in treno, di frontiera in frontiera, Kully rimbalza tra Amsterdam e Parigi, Praga e Leopoli, Nizza e Ostenda prima di attraversare l’Atlantico e trovarsi sugli sterminati stradoni d’America. A scuola non va da tempo, ma viaggiando ha imparato che «le automobili sono più pericolose dei leoni» e che gli adulti, «se vogliono stare allegri», devono ingegnarsi a racimolare un po’ di denaro. Tra fracassamenti di bicchieri e fughe solitarie per le metropoli, questa bambina cosmopolita capisce tutto a modo suo, facendo emergere, pur senza volerlo, il comico anche nel tragico. In «Kully, figlia di tutti i Paesi» Irmgard Keun sublima le peripezie del proprio stesso esilio dando voce a una ragazzina curiosa e irriverente, per raccontare con incantevole candore le storture di un mondo che si rovina con le sue stesse mani.
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